Ruska

Quando si tratta delle mie opere d'arte, i temi principali con cui lavoro sono soprattutto la violenza e l'autoetnografia. Naturalmente non è sempre così, ma lo è quando faccio cose più personali.
I miei riferimenti si basano sulla videoarte e sui film, con artisti come Bill Viola, Alan Berlirner,...

Quando si tratta delle mie opere d'arte, i temi principali con cui lavoro sono soprattutto la violenza e l'autoetnografia. Naturalmente non è sempre così, ma lo è quando faccio cose più personali.
I miei riferimenti si basano sulla videoarte e sui film, con artisti come Bill Viola, Alan Berlirner, Eija-Liisa Ahtila, Sadie Benning o Jonas Mekas.
Ma c'è anche un saggio che mi fa cambiare idea nel momento in cui ho iniziato a leggere: Regarding the Pain of Others di Susan Sontag, in cui ipotizza il fascino dell'uomo per la violenza nell'arte, precisamente la fotografia di guerra. Lei scrive:

"[...] [C'è vergogna oltre che shock nel guardare il primo piano di un orrore reale. Forse
le uniche persone che hanno il diritto di guardare immagini di sofferenza di questo ordine estremo sono
coloro che potrebbero fare qualcosa per alleviarla, come i chirurghi dell'ospedale militare
dove è stata scattata la fotografia, o quelli che potrebbero imparare da essa. Il resto di noi è
voyeur, che lo vogliamo o no. In ogni caso, il macabro ci invita ad essere
spettatori o codardi".

Mi ci è voluto un po' per capirlo, ma l'ho capito subito quando ho capito cosa ho sempre fatto durante la creazione di un'opera d'arte: la violenza e la guerra che mi portavo dentro. Ed è stato quello che mi ha fatto creare quelle cose senza nemmeno pensarci.
Tuttavia, trovo che parte della mia fotografia in studio è legata alla mia opera d'arte personale a causa degli sguardi che creo. Quelli con cui sono cresciuto e per i quali sono stato criticato.
Ma questa è la vera domanda che cerco di trovare attraverso i miei progetti: perché la società non ha pietà per le persone che non raggiungono gli standard elevati che noi segniamo?